Marina Vignozzi Paszkowski (Firenze 1960). Laureata in Storia dell’Arte presso l’Università degli Studi di Firenze con il massimo dei voti e la lode, ha collaborato per molti anni con Gian Lorenzo Mellini ed è stata segretaria di redazione della rivista “Labyrinthos”. Dal 1985 ha partecipato a progetti culturali ed editoriali promossi da diversi enti e fondazioni, come Museo Marini di Firenze, Linea d’Ombra di Treviso, Centro Ragghianti di Lucca, Fondazione Museo Montelupo Fiorentino, ecc. Dai primi anni Novanta l’indirizzo principale della sua ricerca è volto allo studio della ceramica tra Otto e Novecento soprattutto del territorio toscano. Ha organizzato e curato mostre, pubblicato saggi, articoli, monografiche su manifatture quali: Fanciullacci, Mancioli, Cacciapuoti, Bitossi e ceramisti come Aldo Londi, Alvino Bagni, Eva Zaisel, Paolo Staccioli, ecc. Dal 2000 si occupa dell’organizzazione e catalogazione dell’Archivio Industriale Bitossi, di cui è curatrice. Attualmente sta lavorando anche come curatore dell’Archivio del Novecento del Comune di Montelupo Fiorentino su incarico della Fondazione Museo Montelupo. [x]
La porcellana Mancioli e la caffettiera Letizia
Il rituale della preparazione del caffè è un momento di connessione sensoriale e culturale, fatto di gesti ripetuti e simbolici – dalla macinatura dei chicchi all’ascolto del vapore – che rende l’attesa parte integrante del piacere della bevanda [01].
[01] Numerosi libri narrano la cultura e i riti del caffè, tra questi cito Caffè Sommelier, a cura di L. Odello, F. Petroni, G. Ruggieri, ed. White Star, 2018.
La diffusione di questo profumato infuso scorre per i secoli: dal primo leggendario scopritore dei “chicchi di caffè”, il pastore etiopico Kaldi, che nel IX secolo notò l’effetto energizzante delle rosse bacche sulle sue capre, ai monaci sufi dello Yemen, che, all’inizio del XV secolo, utilizzavano il caffè per mantenersi svegli durante le veglie di preghiera notturne. Verso la metà del XVI secolo la bevanda giunse da Costantinopoli, l’attuale Istanbul, alle sponde del vecchio continente. Dove si divulgarono i metodi di preparazione conosciuti come il caffè all’araba o alla turca, che si distinguono non tanto per la tecnica quanto per la tostatura e l’aroma. In entrambi i casi si utilizza una piccola casseruola o bricco in rame o ottone dal collo stretto e dal manico lungo, chiamato ibrik in arabo e cezve in turco.
A partire dal XIX secolo, si susseguirono numerosi modelli di macchine da caffè e caffettiere, tutti concepiti per unire acqua e polvere di caffè: evolvendosi dal percolatore alle prime macchine espresso sino al sistema a capsule Nespresso (1976). Tra questi, alcuni ebbero particolare successo: la caffettiera napoletana, derivata da un’invenzione dl 1819 del parigino Jean-Louis Morize, basata sull’inversione del bricco per far fluire l’acqua attraverso il caffè macinato, e la caffettiera Moka di Alfonso Bialetti (primo prototipo 1933) [02], con la sua iconica forma ottagonale in alluminio, simbolo del design italiano. Fu una rivoluzione domestica semplice e funzionale, presto esportata e imitata in tutto il mondo.
[02] A. Bialetti, “Apparecchio per la preparazione di bevande calde di caffè”. Brevetto italiano (depositato 1933); W. Lidwell, G. Manacsa, Deconstructing Product Design: Exploring the Form, Function, Usability, Sustainability, and Commercial Success of 100 Amazing Products. Quayside Press 2011, p. 120; T. Mills, Bialetti Moka Express: la storia dell’iconica caffettiera italiana e come usarla in modo, in “Open Culture”, gennaio 2022. La caffettiera Moka Bialetti è presente nelle collezione permanete della Triennale Design di Milano e al MoMa di New York.
Nonostante questi straordinari traguardi, la creatività continuò a proporre soluzioni estetiche e funzionali diverse, come la caffettiera Letizia, nelle versioni napoletana ed espresso, prodotta negli anni Sessanta dalla manifattura Mancioli [03].
[03] M. Vignozzi Paszkowski, Manifattura Mancioli. Dalla maiolica alla porcellana, Electa Milano, 1999.
I Mancioli e la porcellana
Prima di addentrarci nella storia della caffettiera Letizia, è imprescindibile tracciare il profilo della famiglia Mancioli di Montelupo Fiorentino. Fin dai primi decenni del Novecento, i Mancioli dimostrano forte spirito imprenditoriale: da calzolai e venditori di vasellame e stoviglie in terracotta, avviarono nel 1938 una manifattura in via Caverni che univa il vetro verde dell’empolese e impagliato [04], estendendo nel 1946 la produzione alla ceramica artistica [05].
[04] Vetreria “Mancioli e Arrosti e C.” che nel 1943 diviene società in nome collettivo “Mancioli Natale & C.” cfr. S. Ciappi, La ditta Mancioli Natale e C: i vetri impagliati e La vetreria Stil Novo: il vetro artistico e il bubble glass. Il vetro artistico: verde, colorato e lattimo in M. Vignozzi Paszkowski, Manifattura Mancioli. Dalla maiolica alla porcellana, Electa Milano, 1999, pp. 167-191.
[04] M. Vignozzi Paszkowski, Manifattura Mancioli. Dalla maiolica alla porcellana, Electa Milano, 1999.
All’inizio degli anni Cinquanta, grazie all’apporto di Luciano (figlio del fondatore Natale), l’azienda intraprese la via del design, coniugando sapientemente artigianalità e produzione seriale. Questo approccio generò una rete di contatti internazionali, favorita dai frequenti viaggi di ricerca e promozione di Luciano Mancioli e dal vivace ambiente fiorentino del dopoguerra, animato da figure di mediazione culturale come Giovanni Battista Giorgini, i buyer e i grandi distributori internazionali che trascorrevano lunghi periodi nel capoluogo toscano.
A metà degli anni Cinquanta, i titolari della manifattura “Natale Mancioli & C.”, accanto alla tradizionale produzione in terraglia, avviarono ricerche su un nuovo impasto ceramico, denominato B.2 (Body), un materiale “fuoco-forno-tavola” con corpo bianco “sasso” greificato, con porosità massima dello 0,5 %, pensato per essere decorato sotto vernice come una terraglia.
Dopo un viaggio in Svezia nel 1955 [06], Luciano Mancioli concepì l’idea di sviluppare una linea resistente al calore, capace di superare la freddezza e la fragilità delle porcellane nordiche, allora assenti sul mercato italiano [07]. Senza esitazioni, avviò una campagna informativa che lo portò a collaborare con il dottore Hind Stanley di Stoke-on-Trent [08], esperto di terre ceramiche. Il primo incontro avvenne a Londra nel luglio 1955 [09]; già l’anno seguente il dottor Hind fornì la miscela ideale per il Body. Nel frattempo, a Montelupo fu installato un forno elettrico [10], per una produzione limitata, che servì a formare le maestranze alla lavorazione di questo nuovo impasto ceramico.
[06] M. Vignozzi Paszkowski, Manifattura Mancioli. Dalla maiolica alla porcellana, Electa Milano, 1999, p. 35.
[07] La produzione scandinava è presente alla IX Triennale di Milano nel 1951, ma sarà l’edizione successiva – la X Triennale del 1954- ad attribuirgli un riconoscimento internazionale. Il modello nordico funzionale ed essenziale contrasta con il design decorativo italiano anche nella produzione di accessori domestici.
[08] Stanley R. Hind è stato un ingegnere ceramico e consulente britannico attivo a Stoke-on-Trent tra gli anni ’20 e ’50, noto soprattutto per il suo testo di riferimento Pottery Ovens, Fuels and Firing (1937) pubblicato dalla British Pottery Manufacturers' Federation; ha inoltre collaborato come consulente tecnico per diverse aziende, come Shell-Mex e Twyfords, e ha progettato vari tipi di forni per ceramica ancora documentati nei Potteries Museum & Art Gallery di Stoke-on-Trent che ospitano una rete di musei dedicati alla storia ceramica, industriale e sociale della regione.
[09] M. Vignozzi Paszkowski, Manifattura Mancioli. Dalla maiolica alla porcellana, Electa Milano, 1999, pp. 35-36, 59 note 72-73.
[10] Il nuovo forno elettrico venne installato nel 1956 cfr. M. Vignozzi Paszkowski, Manifattura Mancioli. Dalla maiolica alla porcellana, Electa Milano, 1999, pp. 36, 59 nota 74.
Ogni tre mesi, il dottor Stanley soggiornava a “La Marta”, la colonica dei Mancioli, dedicandosi in fabbrica a formulazioni, progetti e addestramento degli artigiani. I suoi quaderni di appunti – donati alla morte dalla vedova a Luciano Mancioli – testimoniano l’attenzione maniacale riservata a ogni dettaglio.
Superate le difficoltà iniziali nel colaggio dell’impasto, si giunse alla definizione dei modelli in gesso, molti progettati dallo stesso Stanley con l’aiuto di Sergio Del Buono [11]. Fu, inoltre, costruito un nuovo forno dall’ingegnere Adriano Bossetti [12]: dopo la demolizione di una parete dello stabilimento, i primi pezzi furono cotti con successo. Inseguito si adottarono forni a tunnel con controllo automatico di calore e pressione, garantendo cicli di cottura graduali secondo un diagramma prestabilito.
[11] Sergio Del Buono decoratore, stretto collaboratore di Luciano Mancioli.
[12] M. Vignozzi Paszkowski, Manifattura Mancioli. Dalla maiolica alla porcellana, Electa Milano, 1999, pp. 36, 59 nota 75.
Tra ricerca e fatica, la piccola manifattura di Montelupo scoprì la propria “pietra filosofale”. Come l’alchimista Friedrich Böttger introdusse a inizio del Settecento la porcellane a pasta dura utilizzata nella manifattura reale di Meissen, i Mancioli crearono un impasto capace di suscitare enorme interesse. L’impasto, miscelato con terre, caolino, sabbie e feldspati selezionati a livello internazionale, veniva impiegato sia nella produzione dei piatti che delle casseruole, con lavorazione a colaggio o a modine. Dopo la prima cottura a 1220 °C (ritiro di circa il 13 % rispetto al modello), i pezzi venivano decorati a mano sotto vernice come la terraglia, poi ricoperti da uno smalto trasparente estremamente resistente. La seconda cottura, a 1080 °C, vetrificava lo smalto, conferendo lucentezza e durabilità alla decorazione.
La porcellana Mancioli si differenziava dalle porcellane da fuoco francesi, inglesi e tedesche, nonché da quella italiana (Ginori “pirofila”) [13] – le quali adottavano decorazioni a decalcomania, sopra smalto cotte a fuoco basso (non superiore a 880 gradi di calore), soggetta a veloce usura –, garantendo brillantezza dei colori, forme pure e decori raffinati e resistenza agli sbalzi termici e agli urti.
[13] Tra le aziende più conosciute di porcellana da forno presenti sul mercato a metà degli anni Sessanta, ricordiamo: Thomas, Rosenthal, Velleroy-Bosch e Limoges.
La porcellana Mancioli fu utilizzata per la prima volta nella nuova linea chiamata Oven King (Re del fuoco), sviluppata della seconda metà degli anni Cinquanta dal designer Fernando Farulli con la collaborazione di Giancarlo Casini e sotto la supervisione di Luciano Mancioli, sfruttava l’impasto esclusivo Mancioli e tecnologie all’avanguardia. Fernando Farulli disegnò anche il marchio.
Fu presentata in forma sperimentale alla Fiera Campionaria di Milano del 1959, distribuita i da Christofle [14] e, l’anno seguente, esposta alla Triennale di Milano. Nel 1961 venne mostrata al Salone Internazionale della Ceramica di Vicenza, dove ottenne il premio “Andrea Palladio” [15], assegnato alle opere che soddisfacevano specifici requisiti di valore estetico, tecnico, esecutivo, formale.
[14] Oggi la Maison Christofle è un marchio globale con il suo laboratorio principale a Yainville (Normandia), ma è stata fondata nel 1830 da Charles Christofle come una piccola fabbrica nel cuore di Parigi, dove gli artigiani più abili creavano pezzi in oro e argento. Mancioli e l'azienda francese stipularono nel 1959 un contratto per la distribuzione della linea, come si apprende da una lettera inviata dal responsabile della Christofle di Milano (cfr. M. Vignozzi Paszkowski, Manifattura Mancioli. Dalla maiolica alla porcellana, Electa Milano, 1999, pp. 38, 59 nota 77). Pochi anni dopo la ditta incentiverà le vendite ai rappresentanti.
[15] Cfr. catalogo Salone Internazionale della Ceramica Vicenza (Italia) 1961; M. Vignozzi Paszkowski, Manifattura Mancioli. Dalla maiolica alla porcellana, Electa Milano, 1999, pp. 38, 59 nota 78.
Con la serie Oven King il settore “dal forno alla tavola” trovò un nuovo impulso grazie a un materiale capace di resistere a temperature estreme, utilizzabile in tavola, in lavastoviglie, in forno, in congelatore e, infine, nel microonde. L’azienda Mancioli compose la serie Oven King con un vasellame d’uso quotidiano, familiare e duraturo. Il catalogo, elegante e razionale, comprendeva pirofile, pentole, casseruole, teiere e caffettiere dalle linee ovali e rettangolari, stampi per soufflé e tortiere, e dettagli funzionali quali maniglie e incastri per i coperchi. I decori sobri e classici – “Edera”, “Autunno”, “Girasole” – valorizzavano la serie, conferendole un notevole slancio commerciale grazie all’equilibrio tra estetica, funzionalità e le esigenze di un mercato ancora conservatore, sia nazionale sia internazionale [16].
[16] In questi anni, il mercato preminente era rappresentato dal Nord America, Inghilterra, Germania, Francia, Danimarca e Belgio.
I successi e la crescente domanda concentrarono gli sforzi della Mancioli sulla produzione di Oven King, mettendo in luce alcune criticità che ne rallentavano lo sviluppo. Il consumo rapido delle forme in gesso per il colaggio consentiva appena 35 pezzi per stampo prima della sostituzione [17], e l’assenza di meccanizzazione nel processo produttivi comportava una perdita di utile pari al 40% e ne ostacolava l’espansione. L’impossibilità di ampliamento, dovuta all’ubicazione dello stabilimento in via Caverni, impediva l’adozione anche di una parziale meccanizzazione. La prima difficoltà costringeva gli operai a continui interventi di riparazione e ricostruzione delle forme, con ritardi e costi aggiuntivi; la seconda manteneva elevati i tempi di lavorazione manuale.
[17] Cfr. M. Vignozzi Paszkowski, Manifattura Mancioli. Dalla maiolica alla porcellana, Electa Milano, 1999, pp. 42, 59 note 84.
Queste problematiche, segnalate da tempo da Luciano Mancioli e confermate da Giancarlo Casini, dopo visite in Svezia e in Danimarca nell’agosto 1964 [18], portarono a una riorganizzazione produttiva, che rilanciò il settore della porcellana da fuoco e, in misura minore, quello della terraglia.
Furono poi le commesse per un altro grande successo dei Mancioli, la Caffettiera napoletana Letizia, a finanziare la costruzione di un nuovo stabilimento industriale ad Altopascio (Lucca), in posizione strategica vicino all’autostrada Firenze–Mare per le spedizioni. Nel 1966 fu posta la prima pietra della “Luciano Mancioli. Fabbrica di ceramiche artistiche – Porcellana da fuoco”, edificio progettato con criteri moderni, dotato di ampi spazi di stoccaggio, reparti separati per formatura e decorazione, e un’area dedicata alla manutenzione rapida delle forme in gesso. Mentre nello stabilimento di Altopascio prendeva avvio la produzione della nuova Caffettiera Letizia Espresso, a Montelupo la manifattura “Natale Mancioli & C.” proseguiva con la linea Oven King e i manufatti in terraglia.
[18] M. Vignozzi Paszkowski, Manifattura Mancioli. Dalla maiolica alla porcellana, Electa Milano, 1999, pp. 40, 59 note 79, 81.
La Caffettiera Letizia
In tutte le case moderne, il modo migliore per preparare il caffè è con “Letizia”. Chi non conosce il prodotto dei Mancioli potrebbe pensare che “Letizia” – evocando gioia e felicità – sia solo un concetto astratto, un modo di vivere il rito del caffè, quando in realtà è il nome dell’elegante caffettiera di porcellana, pensata per passare direttamente dal fornello alla tavola o al salotto.
Com’è noto, il rito del caffè mattutino è il cuore delle abitudini italiane, e non sorprende che aziende e designer si siano cimentati con l’arte della caffettiera fin dal lancio della leggendaria Moka Espresso Bialetti (1933). Anche Fernando Farulli dedicò attenzione a “una nuova moka per Luciano” (schizzi datati tra il 1960 e il 1965), evoluta nella raffinata Caffettiera Letizia (1965), ideata da Luciano Mancioli, realizzata da Fernando Farulli con la collaborazione di Giancarlo Casini.
Dalla fine degli anni Cinquanta Farulli si dedicò all’ideazione della serie di porcellane da fuoco distribuita col marchio Oven King. Numerosi progetti e studi su caffettiere e teiere, tra cui il progetto “Una moka per Luciano” – con un corpo in terracotta e un secondo in alluminio, in parte realizzati e inseriti nella serie Oven King, come il servizio da caffè composto da tazze, piattini, caffettiera, zuccheriera e lattiera [19] – hanno preceduto la caffettiera Letizia. Nonostante il successo, le ricerche continuarono, alternando studi per teiere e rivisitazioni di modelli, come la linea “72” con teiere Gipsy e Gill, ispirate alla lampada di Aladino.
[19]Oven King articolo B.30 e B60 nella versione h26xØ7,5 o h30xØ9 cm.
La caffettiera espresso Letizia, composta da sei elementi perfettamente integrati, unisce eleganza e praticità: grazie al sistema brevettato [20] che permette di estrarre la parte in ceramica dal camino e portarla in tavola, insieme alla versione napoletana, determinò un netto incremento della produzione, avviata nel nuovo stabilimento di Altopascio.
[20] La caffettiera espresso Letizia è tutelata dal brevetto italiano n. 28932 e dal corrispondente brevetto canadese CA 889596A, pubblicato nel 1972. Presentato da Luciano Mancioli il 21 giugno 1966, viene registrato il 13 febbraio 1968.
Nello specifico, la Caffettiera napoletana Letizia è realizzata in porcellana Mancioli con filtro interno in alluminio, fu prodotta nel 1965 nelle versioni da 3 o 6 tazze e nelle finiture ocra, marrone bruciato e/o bianco decorato. La Caffettiera espresso Letizia, con camera superiore a forma di teiera in porcellana Mancioli libera di ruotare rispetto alla caldaia in alluminio (cappuccio metallico, filtro superiore e inferiore), fu prodotta anch’essa nel 1965 nella versione 3, 6 o 9 tazze, in finiture mogano e/o Greca blu bruciato.
Farulli curò ogni aspetto formale e cromatico della Letizia, incarnando i principi del design industriale: dal nome e dal logo alla progettazione del packaging. Ogni confezione fu studiata per unire funzionalità ed estetica in modo irresistibile, frutto dell’attenzione scrupolosa di Farulli, capace di conquistare, scatola dopo scatola, l’attenzione e il cuore del consumatore.
Parallelamente al design, i Mancioli condussero analisi di mercato per assicurare alla Letizia non tanto un aumento di fatturato, quanto un controllo rapido e duraturo del mercato nazionale: per questo triplicarono in breve tempo il numero degli acquirenti.
Al dì là dei numeri e della distribuzione, il successo di allora e di oggi, tra collezionisti e appassionati, conferisce alla caffettiera Letizia un ruolo nella storia del design Made in Italy, accanto alla linea Oven King, come precorritrice della filosofia “dal fuoco alla tavola”.
Marina Vignozzi Paszkowski, Gli artisti e la ceramica: pezzi unici e piccole serie, in Architettura, arti applicate e industrial design negli anni della Ricostruzione postbellica toscana (1944-1966), Atti del Convegno, Firenze, Accademia di Belle Arti e Manifattura Tabacchi, novembre 2021, Edizioni ETS, Firenze 2022, pp. 122-135.
2019
Alessandro Mandolesi, Marina Vignozzi Paszkowski (a cura di), Di tutti i colori. Racconti di ceramica a Montelupo dalla Fabbrica di Firenze all’industria e al design, catalogo della mostra (Palazzo Podestarile / Museo della Ceramica, Montelupo Fiorentino, 16 marzo - 28 luglio), All'Insegna del Giglio, Sesto Fiorentino.
2015
Giovanni Pettena, Davide Turrini, Mauro Lovi (a cura di), Creativa produzione. La toscana e il design italiano 1950-1990, catalogo della mostra (Fondazione Ragghianti, Lucca, 13 giugno - 1 novembre), Pacini Editore, Ospedaletto (Pisa).
2015
Silvia Ciappi, Gli animali in vetro: figure realistiche e immaginarie, in Silvia Ciappi, Stefania Viti (a cura di), Taddei ed Etrusca. Arte e industria del vetro a Empoli nel primo ‘900, catalogo della mostra (MuVe - Museo del Vetro, Empoli, 30 novembre 2014 - 2 giugno 2015), Polistampa, Firenze, pp. 95-103.
2005-’08
Emanuele Gaudenzi, Novecento. Ceramiche italiane: protagonisti e opere del XX secolo, 3 voll., Gruppo Editoriale Faenza Editrice, Faenza.
2005
Franco Bertoni, Jolanda Silvestrini, Ceramica italiana del Novecento, Mondadori Electa, Milano 2005.
2004
Marina Vignozzi Paszkowski, Montelupo e il suo mestiere venuto dal fango. Le fornaci e il resto nel tempo dell’industria, in Fausto Berti, Marina Vignozzi Paszkowski (a cura di), Sette secoli di ceramica a Montelupo. Cultura, design e industria in un territorio fiorentino, catalogo della mostra (Castello di Spezzano, Fiorano Modenese, maggio – ottobre 2004), Aedo, Montelupo Fiorentino, pp. 95-131.
2000
Annarita Caputo, Decoro e progettazione nelle forme dell’utile, in Carlo Sisi (a cura di), Motivi e figure nell’arte toscana del XX secolo, Banca Toscana, Pacini Editore, Ospedaletto (Pisa), pp. 182-183.
1999
Marina Vignozzi Paszkowski, La Manifattura Mancioli. Dalla ceramica alla porcellana, Electa, Milano, pp. 42, 46, 47, 122, 124, 160.
1999
Silvia Ciappi, Vetro. La ditta Mancioli Natale e C.: i vetri impagliati; La vetreria Stil Novo: il vetro artistico e il bubble glass. Il vetro artistico: verde, colorato e lattimo, in Marina Vignozzi Paszkowski (a cura di), La Manifattura Mancioli. Dalla maiolica alla porcellana, Electa, Milano, pp. 165-191.
1996
Marina Vignozzi Paszkowski, Farulli: quindici anni di collaborazione con la manifattura Mancioli, catalogo della mostra (Montelupo Fiorentino 22 giugno - 14 luglio 1996), Mancioli porcellane, Altopascio 1996 (con bibliografia precedente).