MARUS: by Giuseppe Bambi for La Marzocco | Mu.De.To. - Museo del Design Toscano, Museo Design Toscana

MARUS

AREA TEMATICA	Design per il Lavoro
TIPOLOGIA	Macchina per caffè professionale
ANNO	1939
PROGETTO	Giuseppe Bambi
PRODUZIONE / PER	La Marzocco
RICONOSCIMENTI	[...]

MOTIVAZIONE

di: Umberto Rovelli

Umberto Rovelli (Bologna, 1962). Laureato in Architettura, dal 1996 al 2018 è socio di Blue Klein, web agency impegnata nel campo multimediale per la promozione della cultura del progetto su Internet. Dal 2005 dirige la rivista IdeaMagazine.net. Dal 2008 al 2016 cura gli aggiornamenti del web ADI Toscana progettato da Blue Klein. Socio ADI dal 2010 al 2015, è curatore dei volumi MuDeTo Collection I.-V. (MuDeTo, Firenze 2014-'21), Mauro Pasquinelli Designer (Bandecchi&Vivaldi, Pontedera 2013) e Interviste sul Progetto (Franco Angeli, Milano 2011). Ha collaborato con le riviste “Op. cit.”, “Juliet Design Magazine”, “Paesaggio Urbano”, “ReportBio”, “Firenze Spettacolo”. Ha pubblicato contributi in: Adriano Piazzesi (Pontecorboli, Firenze 2016); Vincenzo Missanelli. Opere con un'antologia critica (Bandecchi&Vivaldi, Pontedera 2015); Antonio Possenti un lungo viaggio (Pacini Fazzi, Lucca 2013); Adriano Piazzesi. Arte nel silenzio (Polistampa, Firenze 2012); Massimo Mariani. Progetti 1980 - 2005 (Verba Volant, London 2005); Labyrinthos (Alinea, Firenze 1994). [x]

Quando, nel 1927, i fratelli Bambi fondano la loro Officina, la quasi totalità delle macchine professionali da caffé prodotte serialmente condivide nel ciclo produttivo una preponderante componente artigianale – caratteristica che, per l’azienda fiorentina, resterà una costante di lunghissimo periodo connessa all’utilizzo pressoché esclusivo del rame e leghe derivate (ottone e bronzo) come materia prima.
Altrettanta manualità, dedizione e accortezza è all’epoca necessaria per svolgere adeguatamente il lavoro di “caffettiere”: «stare dietro al bancone» significa «prendersi cura dell’attrezzatura, essere responsabile della pulizia della macchina»[01] in quanto si è pienamente consapevoli che il “congegno” che si gestisce e utilizza (sviluppato per la prima volta a Torino nel 1884 dal suo inventore Angelo Moriondo «per soddisfare in tempi rapidi la sempre più esigente e frettolosa clientela»[02]) non è che una recente conquista, ancora perfettibile, del progresso tecnologico incipiente, ma soprattutto la cui efficacia può essere lesa da un gran numero di variabili e che pertanto “pretende” un plus d’intuizione, un’eccellente “sensibilità” tecnica oltre che una costante attenzione e meticolosità nell’utilizzo.

[02] «La macchina venne presentata in occasione dell’Expo Generale di Torino del 1884-‘85, presso lo stand allestito da Angelo Moriondo che ne ricevette la medaglia di bronzo. La macchina fu costruita in collaborazione con meccanico Martina, sotto la direzione dell’inventore». Cfr. Angelo Moriondo, Wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Angelo_Moriondo).
Nei periodici dell’epoca in proposito si può leggere «è una curiosissima macchina a spostamento con cui si fanno trecento tazze di caffè a vapore in un’ora (proprio a vapore). Si compone di un cilindro o caldaia verticale che contiene 150 litri d’acqua, la quale vien messa in ebollizione da fiammelle di gas sotto il cilindro, e per mezzo del vapore con una complicazione curiosissima di congegni si fanno in pochi minuti dieci tazze di caffè in una volta od una sola tazza se volete».

Piuttosto che un impiego anonimo e indifferenziato, quello del “caffettiere” [03], è dunque un “mestiere” ad alto tasso di specificità, del quale si va spesso orgogliosi e che si “apprende” col tempo, sovente dopo un periodo in cui si è assistito chi già sa mentre “pratica” e lavora in modo “esemplare”, cercando di cogliere al meglio i “misteri” di un’arte – quella del “fare il caffè” – che non di rado si comunica più col linguaggio del corpo e la prossemica che a parole. Con ciò determinando un orizzonte e un circuito di “senso” formativo|operativo|esperienziale che forse oggi riesce difficile cogliere e immaginare ma che per secoli è la “cifra” induttiva immanente ad una vasta componente di saperi taciti sui quali si regge gran parte del mondo del lavoro rurale e artigianale prebellico nonché il “cuore segreto” della loro trasmissibilità: quel qui ed ora dell’esempio circoscritto e irriducibilmente correlato a un contesto dal quale spetta all’apprendista trarre "materia" per l'elaborazione di norme e regole di valore più astratto e generale da applicare in futuro nel corso della propria carriera professionale.

Nei primi anni del secolo scorso, in seguito alla prima concreta commercializzazione di macchine per la produzione del caffè “istantaneo” [04], molti “artigiani” italiani iniziano a manifestare interesse per un settore ed una categoria merceologica che anche se in costante evoluzione ha in parte delineato una architettura di prodotto egemone. «Agli inizi del secolo scorso in Italia» vengono infatti realizzati numerosi «tentativi di produrre macchine per fare il caffè espresso. Questi prototipi» – che «possono essere giustamente considerati i progenitori delle macchine per espresso attualmente in produzione» – sono perlopiù «macchine dotate principalmente di caldaie» cilindriche decisamente più alte che larghe (probabilmente influenzate dalla più tradizionale morfologia tipologica del “samovar”) «atte alla produzione di acqua calda e vapore»[05] che riproducono plasticamente con poche varianti il modello originale a “colonna verticale” già brevettato da Moriondo.

[04] Pur avendo brevettato il modello di macchina per caffè “espresso” Angelo Moriondo non la sviluppa in senso commerciale. Cosa che invece fa Luigi Bezzera, con un nuovo brevetto che ben 17 anni dopo Moriondo nel 1902 apporta alcune migliorie tecniche. Brevetto che, nel 1905, viene acquistato da Desiderio Pavoni il quale, fondando la ditta La Pavoni dà ufficialmente inizio alla produzione in serie (una al giorno) della tipologia in una piccola officina di via Parini a Milano. Cfr. Caffè espresso, Wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Caff%C3%A8_espresso).

Come detto, siamo agli albori della tipologia, «i produttori, oltre ad essere artigiani esperti» sono da considerarsi al pari di veri «pionieri»[06] anche in considerazione delle difficoltà fronteggiate all'epoca. Nel novero di questi “pionieri” un posto di rilievo merita sicuramente Giuseppe Bambi – figlio di battilastra, perito industriale e con una pregressa esperienza lavorativa presso le Officine Galileo – che realizza nel proprio laboratorio, sul finire degli anni '20, una piccola serie di macchine per caffè espresso, denominata “Fiorenza” [07]. Questo primo modello viene realizzato da Bambi su commissione di un cliente, che ne fornisce il relativo disegno ma, a seguito delle difficoltà da lui incontrate nella vendita, rinuncia all'iniziativa; Giuseppe Bambi, confidando da subito nel buon futuro di queste macchine, inizia quindi a progettare e costruire, su suo progetto e design, nuove macchine insieme al fratello Bruno, nell’Officina Fratelli Bambi e, dopo i primi successi, decide di chiamarla La Marzocco ispirandosi al leone MARZOCCO seduto, con lo stemma del giglio di Firenze simbolo popolare “vincente” a suo tempo usato dalla Repubblica Fiorentina.

In pressoché totale autonomia, Giuseppe e Bruno Bambi progettano, producono e assemblano le proprie macchine da caffè di eccezionale qualità manifatturiera [08] nel quadro di un settore commercialmente arduo e che, nel suo primo trentennio di vita, appare quasi uniformemente contraddistinto da una tipica conformazione morfologica a “colonna verticale”. Conformazione che – vista oggi – sembra assai più influenzata dal fascino della tradizionale ritualità domestica di degustazione della bevanda piuttosto che da un pensiero progettuale funzionale e strumentale, ovvero correlato strettamente all’utilizzo pubblico del dispositivo. La forma cilindrica, molto decorativa e sicuramente suggestiva, mal si presta infatti a “dialogare” con la dimidiazione spaziale (tra ambito di lavoro e ambito pubblico) posta in essere dall’ineludibile presenza del bancone che, di fatto, rende agevolmente accessibile all’inserviente solo una metà della potenziale circonferenza dello strumento. La verticalizzazione della caldaia inoltre offre una eccellente stabilità alla macchina solo con i più costosi (e rari) modelli in versione “géant”, mentre per le più correnti versioni “mignon” il ridotto spazio accessibile (utilizzato sovente in modalità asimmetrica) non consente una omologa e opportuna distribuzione delle prese o beccucci per il filtro.

Nonostante le ragioni della realizzazione del brevetto originario di Moriondo risiedano proprio nella contrazione dei tempi di attesa previsti per la produzione del caffè, già nei primi decenni del XX secolo appare evidente che la conformazione standard della macchina non è in grado di consentire innesti lineari di “serialità” ovvero quella moltiplicazione in parallelo (evitando un eccessivo aumento dell’ingombro dimensionale complessivo) dell’erogazione (a qualità costante di temperatura ed emissione di acqua o vapore acqueo) che la crescita d’interesse nel gusto degli italiani sembra invece pretendere.

I modelli – dagli albori, stilisticamente contesi fra contenutistico “orgoglio” ingegneristico e “resa” decorativa liberty, fino alla più recente epoca “razionalista”, che con l’avvento del fascismo tende a privilegiare un telaio più lineare ed essenziale riducendo in modo consistente la “decorazione” – continuano infatti a riprodurre macchine a preponderante struttura verticale (di foggia più o meno ciclindrica) che grossomodo individua l’elemento dimensionalmente più evidente del prodotto – la caldaia – la cui conformazione non consente, come notano gli stessi fratelli Bambi «che poche [...] prese o beccucci» per il filtro, tra l’altro «in posizione non del tutto adatta, e così di non facile sollecita manovra per gli inserventi»[09].

In altri termini, se posta a confronto con la, non troppo rapida ma certamente costante, crescita dei ritmi di consumo del prodotto, l’ormai tradizionale conformazione della caldaia non manifesta una adeguata performance. E in questo caso migliorare le prestazioni e l’efficienza del prodotto parebbe proprio imporre non tanto una semplice “evoluzione” della tipologia ma un cambio di “modello”, ovvero un deciso ripensamento, quanto mai complesso da immaginare, comunicare ed attuare, nei riguardi dell’architettura di prodotto dominante [10].

La “naturale” ritrosia del pubblico nei confronti di strumentazioni e prodotti che modificano in modo tangibile non solo la conformazione ma anche i ritmi e i tempi produttivi delle macchine legate ai “riti sociali” ormai consolidati in una società è quasi certamente uno dei motivi che consente il protrarsi nel tempo del modello a caldaia verticale. Quest’ultima, tra l’altro, costituisce, come accennato, l’esile filo di una suggestione che lega ancora “formalmente” la pubblica e sbrigativa degustazione di fine millennio all’esotica, e assai più domestica, preparazione del caffè nei paesi di origine dove «venivano utilizzate “Cuccume” e “Bricchi” in latta stagnata o più raffinati “Samovar” in rame, ottone, peltro o argento»[11]. Tra l’altro con un sistema – la bollitura – tramite il quale «si otteneva una bevanda piuttosto densa e aspra che lasciava in bocca i residui dei fondi»[12] e che, all’epoca, non aveva certo entusiasmato il Vecchio Continente.

Ma proprio nel lento processo evolutivo che condurrà la tipologia ad emanciparsi dall’archetipo del modello “a colonna” il modello Marus ideato da Giuseppe Bambi costituisce un decisivo passo verso l’avvento sia del tipo “orizzontale” – a tutt'oggi considerato la “norma” per il settore delle macchine professionali – sia di un approccio decisamente più razionale e pragmatico nei confronti di una “pratica sociale” di degustazione che ha ormai modalità di fruizione decisamente più dinamiche rispetto a quelle del passato. Un paradosso, se si considera lo spirito decisamente handmade che coerentemente contraddingue gli ormai 90 anni di attività de La Marzocco, ma che non contrasta affatto con quell’orizzonte di “senso” formativo|operativo|esperienziale, poc’anzi sommariamente accennato, che accomuna gli ambiti e le figure professionali operanti nel campo della tecnica, del lavoro, della produzione e del progetto nel primo dopoguerra del ‘900.

Precondizione affinché il superamento delle residue ritrosie confromativo-progettuali si determini risiede proprio nel fatto che gli ambiti del sistema che sovrintende alla “pratica sociale” della degustazione del caffè (progetto, produzione, distribuzione e consumo) siano a stretto contatto, possano cioè intrecciarsi e comunicare proficuamente producendo feedback adeguati e sensati.

In tal senso, la relativamente "contenuta" dimensione industriale de La Marzocco e i peculiari connotati artigianali della produzione dell’officina non consentono “dispersioni” gerarchiche di saperi e competenze: la “naturale” sovrapposizione di “pratiche” e mansioni operative svolte dal medesimo soggetto funge così molto probabilmente da “detonatore” per il genio tecnico-creativo-progettuale e imprenditoriale dei Bambi. Già negli anni ’30, l’attività di Giuseppe e Bruno – come nota Piero Bambi, rispettivamente figlio e nipote dei fratelli nonché attuale presidente onorario de La Marzocco – non si limita tanto alla produzione e vendita, ma ricomprende l’installazione e il collaudo in sede dei prodotti e, in particolare, l’assistenza tecnica con periodiche revisioni e controlli ai macchinari. Questa ripetuta frequentazione rende la relazione fornitore|cliente assai più “prossima” di quella che si verifica attualmente consentendo l’instaurarsi di un buon rapporto con i clienti, che sovente sfocia in una amicizia; cosa che, comprensibilmente, facilita lo scambio di informazioni e suggerimenti che si rivelano assai utili al processo elaborativo di idee originali e innovative.

Da questo peculiare rapporto – quasi in “presa diretta” – fra azienda produttrice e fruitori finali il tecnico|progettista|produttore ha costantemente modo di acquisire e approfondire la propria consapevolezza in merito alle “problematiche” coinvolte nell’uso “reale” (talvolta anche distorto) delle macchine che fuoriescono dall’officina e tale consapevolezza condurrà il talento Giuseppe Bambi a intuire e realizzare praticamente, assai prima di altri, quel necessario “scarto” inventivo che lo conduce alla soluzione pratica, efficace e “rivoluzionaria” di molte delle questioni irrisolte con le quali si è potuto confrontare giorno dopo giorno: la rotazione di 90° della caldaia [13].

[13] Il termine “rivoluzione” appare forse più adeguato proprio in termini di “archetipo” formale che in termini meramente “tecnici”. Occorre infatti notare che il progetto di Giuseppe Bambi affronta il tema “a partire da” una tecnologia che “virtualmente” è addirittura già superata. Già nel 1938, infatti, le macchine “a vapore” erano ormai superate dall’invenzione del “sistema a leva” che Angelo Gaggia aveva ideato e brevettato per la macchina nel proprio bar, e che avrebbe rivisto industrialmente nel 1945, mettendola finalmente in produzione nel 1948.

E una prova – pressoché l’unica ad oggi rimasta – utile a corroborare la tesi appena esposta è rappresentata dal testo di presentazione del brevetto firmato e depositato dai fratelli Bambi presso l’Ufficio della Propretà Intellettuale della Prefettura di Firenze il 25 febbraio 1939 – per il “trovato” esemplificativo denominato Marus – che documenta il primo progetto di macchina professionale per caffé “espresso” con caldaia orizzontale e gruppi posizionati in linea. A distanza di ormai quasi 80 anni, la lettura del brevetto (unitamente ai cataloghi storici delle aziende leader dell’epoca come ad es. quelli de La Pavoni) dà infatti modo di apprendere lo “stato dell’arte” relativo alla tipologia di prodotto, lasciando affiorare una sorta di tranche de vie di strategie installative ed accorgimenti tecnici e gestionali adottati di massima nel periodo anteriore e coevo al brevetto, dando conto degli effetti negativi che l’adozione di tali strategie determinano, nonché le crescenti condizioni di stress e “pericolo” latente che l’utilizzo delle macchine viene man mano creando per gli inservienti.

A partire dalla condivisibile constatazione che «l’ideale per la manovra e la pronta produzione della bevanda del caffé, o simile, è quella di avere frontalmente ed in linea, varie prese o beccucci per l’innesto di vari filtri»[14], Giuseppe e Bruno Bambi notano come, secondo quanto da loro appreso vis-à-vis dall'esperienza quotidiana, al fine di ottenere questa disposizione si sia man mano provveduto – da parte di alcune aziende, di concerto con i gestori – «a togliere le macchine, con relative caldaie, dal di sopra dei banchi di produzione e mescita, per piazzarle sotto il banco, facendo pervenire al di sopra dei banchi stessi, a mezzo dei condotti, l’acqua e il vapore a dei collettori»[15].

Tale “mossa” installativa – una sorta di sistematica “coazione verticalizzante” come riscontrano i fratelli nell’ambito dei periodici contatti con le caffetterie e bar cui offrono assistenza tecnica –, raggiunge sì l’obiettivo dell’assetto orizzontale dei beccucci ma comporta di fatto una serie di inconvenienti: a) il prolungamento delle condutture – dovuto all’aumento della distanza tra caldaia e collettori – determina una drastica riduzione della temperatura dell’acqua e/o vapore quando raggiunge il filtro influendo negativamente su tempi e qualità della bevanda erogata; b) «le esalazioni, specie dei mezzi di riscaldamento delle caldaie – abitualmente riscaldate a gas – giungono direttamente dal disotto del banco sugli inservienti in servizio» che «si trovano investiti oltre che dalle esalazioni, anche dal calore sprigionato delle macchine»[16]; c) «risulta altresì poco agevole, e per certi versi quasi impossibile, la opportuna verifica delle caldaie sistemate sotto i banchi»[17].

La soluzione proposta nel brevetto (ed esemplificata dal modello Marus) cerca quindi di ottenere l’assetto ritenuto ideale «per la manovra e la pronta produzione della bevanda del caffé»[18] senza peraltro incorrere nei menzionati inconvenienti. In altri termini, la “caldaia orizzontale” rappresenta una sorta di “uovo di Colombo”: con un «dispositivo – non molto ingombrante – cioè occupante poco più spazio di un collettore con caldaia sotto il banco», il modello Marus garantisce, oltre ad un eccellente potenziale estetico, «la piena possibilità di essere ispezionato in ogni sua parte»[19]. Inoltre se da un lato la distanza ridottissima fra caldaia e collettore consente di mantenere adeguatamente alta la temperatura dell’acqua e/o vapore e del filtro, d’altro canto la disposizione orizzontale della caldaia consente che lo stesso riscaldamento della caldaia (che avviene necessariamente dal basso) sia ottenuto con minori consumi e in tempi ridotti.

Dalla lettura del brevetto si evidenzia pertanto come il modello Marus sia un eccellente risultato (ad un tempo solutivo e innovativo) che scaturisce da un approccio assai pragmatico e perspicace al tema progettuale|produttivo. Approccio a sua volta instradato da un’attenta disamina del contesto gestionale delle apparecchiature (favorita dal tipo di relazioni anche “informali” che all’epoca intercorrono fra cliente e azienda) nonché, ovviamente, da una decennale esperienza ed un chiarissimo talento ermenutico, progettuale, tecnico e creativo cui finora non è stato attribuito il meritato riconoscimento. Talento che, unito ad una dose non comune di tenacia, ha reso Giuseppe Bambi non solo la guida storica di un’azienda oggi stranota nel mondo (e – come non di rado accade –, assai meno conosciuta nel territorio che l’ha vista nascere e svilupparsi), ma anche la figura-simbolo di una “scommessa” sia imprenditoriale che culturale. Un “progetto di sistema” teso a preservare la qualità complessiva di una serie di relazioni e filiere produttive coinvolgenti un vasto ventaglio di professionalità, territori e dinamiche socio-economiche.

Con i suoi quasi 90 anni di esperienza alle spalle e 40 milioni di fatturato – con un incremento di 13 milioni nel solo arco di un anno dal 2013 al 2014 –, La Marzocco è una realtà molto attiva e concreta della galassia progettual-imprenditoriale toscana. Ma ciò non solo per la mera – per quanto accurata – produzione di macchine che hanno più volte contrassegnato l’innovazione nel settore [20] ma anche, se non soprattutto, per essersi resa protagonista della diffusione e del consolidamento della “cultura del caffé” nel mondo: un aspetto “cruciale” per la salvaguardia della qualità del prodotto eccellente al quale la stessa azienda contribuisce tangibilmente con un progetto di formazione teso a non disperdere il “saper fare” acquisito [21] e che prevede la creazione, nei prossimi anni, di una “Accademia del caffé” all’interno dei 1300 mq dedicati nel proprio stabilimento “laboratoriale” di Scarperia.

TESTIMONIANZE

CREDITS / IMMAGINI

001	Angelo Moriondo, Nuovi apparecchi a vapore per la confezione economica ed istantanea del caffè in bevanda. Sistema A. Moriondo - Primo brevetto (16 maggio 1884) della macchina per il "caffè espresso" \| Pur avendo brevettato il modello di macchina per caffè “espresso” Angelo Moriondo non la sviluppa in senso commerciale. Cosa che invece fa Luigi Bezzera, con un nuovo brevetto che ben 17 anni dopo Moriondo nel 1901-'02 apporta alcune migliorie tecniche. Quest'ultimo, nel 1905, viene acquistato da Desiderio Pavoni il quale, fondando la ditta La Pavoni dà ufficialmente inizio alla produzione in serie (una al giorno) della tipologia in una piccola officina di via Parini a Milano \| © Angelo Moriondo, courtesy Angelo Moriondo

002	Luigi Bezzera, modello Vittoria alata - macchina per caffè professionale, 1902, Bezzera \| © Bezzera, courtesy Bezzera

003	Giuseppe Bambi, Fiorenza - macchina per caffè professionale, 1927, Laboratorio Officina Bambi \| Si tratta del primo modello creato da Giuseppe Bambi su cui si può notare lo stemma con il giglio di Firenze. A lungo considerato scomparso, un pezzo d'avanguardia che esisteva solo nelle storie e vecchie fotografie, il modello Fiorenza è stato «ritrovato» nel 2013 presso la Pasticceria Lentini di Calenzano - Firenze \| © La Marzocco, courtesy La Marzocco

004	Come si può notare in questa pagina di catalogo prebellico di un'azienda leader del settore come La Pavoni, per soddisfare «l’ideale per la manovra e la pronta produzione della bevanda del caffé» (ovvero «quella di avere frontalmente ed in linea, varie prese o beccucci per l’innesto di vari filtri» le diverse aziende offrivano soluzioni che, viste oggi, sembrano quasi "rallentare" la soluzione proposta dal brevetto dei Fratelli Bambi. In una sorta di collettiva "coazione verticalizzante" il sistema tende «a togliere le macchine, con relative caldaie, dal di sopra dei banchi di produzione e mescita, per piazzarle sotto il banco, facendo pervenire al di sopra dei banchi stessi, a mezzo dei condotti, l’acqua e il vapore a dei collettori» (Giuseppe Bambi, Bruno Bambi, Macchina a caldaia orizzontale atta ad ottenere bevande del caffè cosiddetto espresso, Attestato di Privativa Industriale (brevetto) N°372525 del 25 febbraio 1939, Ministero delle Corporazioni, Ufficio della Proprietà Intellettuale, Firenze) \| © La Pavoni, courtesy La Pavoni

005	Una pagina, illustrata da Walter Molino, de "La Domenica del Corriere" che riporta il caso, avvenuto a Modena, dell'esplosione di una «macchina per il "caffè espresso". Come si può notare anche in questa nota di cronaca, la tipologia del primo dopoguerra è ancorata alla tipologia a "colonna verticale" prebellica \| "La Domenica del Corriere", 21 novembre 1946 \| © "La Domenica del Corriere", courtesy "La Domenica del Corriere"

006	Schizzo di sintesi del passaggio "epocale" che il modello Marus rappresenta per la storia tipologica delle macchine per il "caffè espresso". Per la prima volta, nel 1939, Giuseppe Bambi tenta di rispondere con un progetto adeguato alle esigenze di gestione del mezzo in termini di sintesi spaziale ottimizzando al contempo la posizione delle parti sottoposte ad un costante utilizzo da parte degli inservienti. La macchina è così facilmente ispezionabile, relativamente più stabile ed efficiente nei consumi, in quanto la caldaia è disposta orizzontalmente e può essere riscaldata per circa metà della sua superficie ed evita «l’inconveniente delle esalazioni e calore di cui vengono direttamente investiti gli inservienti quando si usano caldaie situate sotto il banco» (Giuseppe Bambi, Bruno Bambi, Macchina a caldaia orizzontale atta ad ottenere bevande del caffè cosiddetto espresso, Attestato di Privativa Industriale (brevetto) N°372525 del 25 febbraio 1939, Ministero delle Corporazioni, Ufficio della Proprietà Intellettuale, Firenze)\| © La Marzocco, courtesy La Marzocco

007	Giuseppe Bambi, Marus - macchina per caffè professionale, 1939, La Marzocco \| «Secondo l’esempio disegnato il "trovato" consiste in una caldaia orizzontale, preferibilmente cilindrica (a), chiusa alle due estremità con fondelli (b) opportunamente fissati, per esempio con bulloncini su flange o simili. A circa 45° vengono provveduti sulla caldaia dei raccordi (c), sui quali si fissano le prese (d) – portanti gli attacchi, noti a se – per i filtri del caffè» \| Estratto da: Giuseppe Bambi, Bruno Bambi, Macchina a caldaia orizzontale atta ad ottenere bevande del caffè cosiddetto espresso, Attestato di Privativa Industriale (brevetto) N°372525 del 25 febbraio 1939, Ministero delle Corporazioni, Ufficio della Proprietà Intellettuale, Firenze \| © La Marzocco, courtesy La Marzocco

008	Giuseppe Bambi, Marus - macchina per caffè professionale, 1939, La Marzocco \| «Secondo l’esempio disegnato il "trovato" consiste in una caldaia orizzontale, preferibilmente cilindrica (a), chiusa alle due estremità con fondelli (b) opportunamente fissati, per esempio con bulloncini su flange o simili. A circa 45° vengono provveduti sulla caldaia dei raccordi (c), sui quali si fissano le prese (d) – portanti gli attacchi, noti a se – per i filtri del caffè» (Giuseppe Bambi, Bruno Bambi, Macchina a caldaia orizzontale atta ad ottenere bevande del caffè cosiddetto espresso, Attestato di Privativa Industriale (brevetto) N°372525 del 25 febbraio 1939, Ministero delle Corporazioni, Ufficio della Proprietà Intellettuale, Firenze) \| © La Marzocco, courtesy La Marzocco

009	Giuseppe Bambi, Marus - macchina per caffè professionale, 1939, La Marzocco \| «Secondo l’esempio disegnato il "trovato" consiste in una caldaia orizzontale, preferibilmente cilindrica (a), chiusa alle due estremità con fondelli (b) opportunamente fissati, per esempio con bulloncini su flange o simili. A circa 45° vengono provveduti sulla caldaia dei raccordi (c), sui quali si fissano le prese (d) – portanti gli attacchi, noti a se – per i filtri del caffè» [...] «Queste prese sono a diretto contatto con la caldaia orizzontale, ed ognuma di esse porta, opportunamente, nel suo interno un condotto (e) che pesca in basso nell’acqua, ed un altro (f) rivolto verso l’alto della caldaia, per la presa di vapore. Si vede così, chiaramente, che questi condotti diretti sono immersi nelle caldaie, e giungono al filtro dopo un brevissimo tratto, che si compie entro il necessario attacco (d) per il filtro; il quale attacco essendo a diretto contatto con la caldaia, per immediata comunicazione si mantiene sempre caldo. Di queste coppie di tubi e prese, se ne vedono nell’esempio indicato tre, ma è chiaro che provvedendo ad una caldaia orizzontale di maggior lunghezza si possono avere quantitativi maggiori di prese, sempre allineate e a diretta portata di mano. [Viene] così raggiunto lo scopo di avere allineate più prese insieme, con il massimo di utilizzazione del calore senza alcuna pratica dispersione, e con costante fornitura – in qualsiasi momento – di acqua e vapore pronti allo scopo; si è [altresì] evitato l’inconveniente delle esalazioni e calore di cui vengono direttamente investiti gli inservienti quando si usano caldaie situate sotto il banco». (Giuseppe Bambi, Bruno Bambi, Macchina a caldaia orizzontale atta ad ottenere bevande del caffè cosiddetto espresso, Attestato di Privativa Industriale (brevetto) N°372525 del 25 febbraio 1939, Ministero delle Corporazioni, Ufficio della Proprietà Intellettuale, Firenze)\| © La Marzocco, courtesy La Marzocco

010	Giuseppe Bambi, Marus - macchina per caffè professionale, 1939, La Marzocco \| Estratto da: Giuseppe Bambi, Bruno Bambi, Macchina a caldaia orizzontale atta ad ottenere bevande del caffè cosiddetto espresso, Attestato di Privativa Industriale (brevetto) N°372525 del 25 febbraio 1939, Ministero delle Corporazioni, Ufficio della Proprietà Intellettuale, Firenze)\| © La Marzocco, courtesy La Marzocco

011	Giuseppe Bambi, Marus - macchina per caffè professionale, 1939, La Marzocco \| Estratto da: Giuseppe Bambi, Bruno Bambi, Macchina a caldaia orizzontale atta ad ottenere bevande del caffè cosiddetto espresso, Attestato di Privativa Industriale (brevetto) N°372525 del 25 febbraio 1939, Ministero delle Corporazioni, Ufficio della Proprietà Intellettuale, Firenze)\| © La Marzocco, courtesy La Marzocco

012	Giuseppe Bambi, Marus - macchina per caffè professionale, 1939, La Marzocco \| Estratto da: Giuseppe Bambi, Bruno Bambi, Macchina a caldaia orizzontale atta ad ottenere bevande del caffè cosiddetto espresso, Attestato di Privativa Industriale (brevetto) N°372525 del 25 febbraio 1939, Ministero delle Corporazioni, Ufficio della Proprietà Intellettuale, Firenze)\| © La Marzocco, courtesy La Marzocco

013	Giuseppe Bambi, modello digitale (fronte / lato pubblico fruitore) della macchina per caffè professionale Marus del 1939, La Marzocco \| © La Marzocco, courtesy La Marzocco

014	Giuseppe Bambi, modello digitale (retro / lato privato operatore) della macchina per caffè professionale Marus del 1939, La Marzocco \| © La Marzocco, courtesy La Marzocco

015	Giuseppe Bambi (il secondo da sininistra) durante l'inaugurazione della nuova sede dello stabilimento de La Marzocco, 1961 \| © La Marzocco, courtesy La Marzocco

016	Il furgone Alfa Romeo commissionato ad hoc da La Marzocco nel 1959 (su progetto e design di Giuseppe Bambi) per promuovere le proprie attrezzature "espresso" in città e nella provincia di Firenze \| © La Marzocco, courtesy La Marzocco

017	La fedele ricostruzione del furgone Alfa Romeo commissionato ad hoc da La Marzocco nel 1959. Il furgone, denominato "Romeo 2" è stato realizzato in occasione della XII Settimana della Cultura d'Impresa (14-24 novembre 2013) \| © La Marzocco, courtesy La Marzocco

018	La fedele ricostruzione del furgone Alfa Romeo commissionato ad hoc da La Marzocco nel 1959. Il furgone, denominato "Romeo 2" è stato realizzato in occasione della XII Settimana della Cultura d'Impresa (14-24 novembre 2013) \| © La Marzocco, courtesy La Marzocco

INFO / NOTE TECNICHE

Macchina per ottenere la bevanda del caffè cosiddetto “espresso” destinata ad essere piazzata sul banco di mescita, caratterizzata dal fatto di avere la caldaia situata orizzontalmente, in modo da consentire l’applicazione sulla stessa di una serie di prese e beccucci allineati e situati sostanzialmente a circa 45°.
Ogni presa – risultante a diretto contatto della caldaia – è provvista di un condotto che pesca nell’acqua anche fino in fondo, ed altro piegato verso l’alto della caldaia per la presa di vapore. Tali condotti sono completamente contenuti nella caldaia, e raccordati per un brevissimo tratto direttamente alle prese o beccucci, e, attraverso il sostegno, delle prese stesse.
A causa della sua disposizione orizzontale la caldaia può ricevere i mezzi di riscaldamento – abitualmente a gas – per circa metà della superficie inferiore.

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1904-‘87	name:	Giuseppe Bambi


1927	name:	La Marzocco